Gli Ambiti Territoriali di Caccia
In base alle disposizioni relative alla “Gestione programmatica della caccia” definite dall’art. 14 comma 1 della L. 157/92 e dall’art. 28 comma 1 della l.r. 26/93, attraverso il piano faunistico venatorio provinciale, il territorio della provincia di Cremona è suddiviso in sette ambiti territoriali di caccia.
La determinazione dei confini e il dimensionamento sono stati valutati e attribuiti sulla base delle disposizioni nazionali e regionali in materia faunistico-venatoria, nonché sui criteri attuativi della legge 157/92 emanati dall’ex-INFS e risultano il frutto di una attenta ricerca per contemperare le esigenze faunistiche con quelle di fruizione storica del territorio, tenendo conto anche delle abitudini locali di caccia. I confini, oltre che amministrativi, richiedono talvolta di individuare elementi riconoscibili del paesaggio, quali strade, manufatti, corsi d’acqua, tali da non indurre in errore il cacciatore nell’esercizio dell’attività venatoria e da consentire al corpo di vigilanza di espletare le funzioni di controllo con maggiore efficacia.
Si ritiene che gli ambiti territoriali di caccia per assolvere in modo ottimale ai propri compiti istituzionali e statutari, quali la promozione e l’organizzazione delle attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica e la programmazione degli interventi per il miglioramento degli habitat, debbano avere dimensioni di 15.000-25.000 ettari. La caccia rappresenta infatti oggigiorno prevalentemente un’attività ludico-sportiva ben lontana da una forma di mero sfruttamento delle risorse faunistiche. Il cacciatore in questo quadro contribuisce, seppur con scopi utilitaristici, a creare quelle buone condizioni affinché la fauna possa vivere e riprodursi; partecipa direttamente e spesso in forma volontaristica allo svolgimento di numerose attività tra cui ad esempio le ricognizioni del territorio per valutare la consistenza faunistica, le catture degli animali nelle zone di ripopolamento e cattura, il rilascio sul territorio di caccia degli animali catturati e il posizionamento delle tabelle di delimitazione degli istituti.
Zone di protezione
La tutela e la conservazione della fauna selvatica è basata sulla costituzione di una rete di aree protette sufficientemente estese e ben delimitate, in grado di mantenere popolazioni con densità medio-alte. Questo strumento offre innegabili vantaggi legati condizioni di massimo rispetto della fauna selvatica con benefici sulla riproduzione e sulla sosta degli animali.
Nel contesto normativo internazionale, nazionale e regionale si distinguono istituti finalizzati alla tutela dell’ambiente e della fauna omeoterma (mammiferi e uccelli); si tratta dei parchi nazionali e regionali, delle riserve e monumenti naturali. In alcune di queste aree (parchi naturali dei parchi regionali, riserve naturali regionali) la tutela faunistica si realizza anche attraverso il divieto di caccia (art. 21 L. 157/92 [1]; art. 22 c.6 L.394/91 [2]).
Gli istituti di tutela della fauna propri delle leggi di riferimento sulla tutela della fauna omeoterma e sull’esercizio dell’attività venatorio sono rappresentati da: Oasi di protezione faunistica (Oasi), Zone di ripopolamento e cattura (ZRC) e dalle Zone di rifugio.
- Le Oasi di protezione assolvono il compito di rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica ed hanno quindi come unica finalità dichiarata la protezione della fauna selvatica: sono individuate sulla base della valenza ecologica dei loro habitat in relazione a realtà faunistiche particolarmente meritevoli di conservazione.
- Le Zone di ripopolamento e cattura sono destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e alla cattura della stessa per la traslocazione e l’immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento.
- Le Zone di rifugio sono aree di tutela a carattere temporaneo finalizzate a consentire l’insediamento e la riproduzione di nuclei di selvaggina la cui diffusione sul rimanente territorio si realizza principalmente mediante irradiamento naturale.
Oasi di protezione e Zone di ripopolamento e cattura sono istituti pubblici individuati dal Piano faunistico-venatorio provinciale; le Zone di rifugio sono istituite dagli ATC sino ad un massimo del 15% del proprio territorio.
[1] art. 21 L. 157/92: “È vietato a chiunque l’esercizio venatorio: b) nei parchi nazionali; nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali; c) nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell’istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica; d) ove vi siano opere di difesa dello Stato ed ove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell’autorità militare, o dove esistano beni monumentali, purché dette zone siano delimitate da tabelle esenti da tasse indicanti il divieto.”
[2] art. 22 c.6 L.394/91: “Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l’attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate.”
Le Oasi di protezione della fauna sono istituti destinati alla conservazione della fauna selvatica col fine di favorire l’insediamento e l’irradiamento naturale delle specie stanziali e la sosta della migratoria, nonché di preservare il flusso delle correnti migratorie anche attraverso il miglioramento e il ripristino di condizioni ambientali favorevoli il più possibile vicine a quelle di naturalità. Tali istituti vanno adeguatamente tutelati attraverso un complesso di misure atte a mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna selvatica e flora spontanea in uno stato di conservazione soddisfacente.
In ambito provinciale sono state individuate in ambienti nei quali la fauna selvatica potesse trovare idonee aree di rifugio, di riproduzione e di sosta oltre che di alimentazione oppure nei luoghi dove si presentassero particolari esigenze faunistiche. Si sviluppano generalmente all’interno di un sistema di aree naturali che presentino elementi di continuità e di collegamento, corpi idrici dotati di sponde vegetate, filari arborei e siepi campestri, fasce di incolti, ovvero i cosiddetti “corridoi ecologici”, elementi fondamentali per consentire una buona diffusione della fauna sul territorio e assicurarne la sopravvivenza.
La trama di zone protette nel loro complesso o di zone che presentano finalità di tutela specifiche “Rete Natura 2000”, definiscono uno spazio riservato nel quale trova rifugio la fauna selvatica. Le Oasi di protezione completano gli ambiti di tutela della Rete Natura 2000, dei Parchi Regionali, ealle Riserve e Monumenti naturali, con i quali talvolta si sovrappongono. Le Oasi rappresentano pertanto una tutela ulteriore e specifica alla fauna omeoterma di specie particolarmente vulnerabili assicurata nei distretti a maggior grado di pregio ambientale a causa della drastica riduzione degli habitat elettivi oggi molto localizzati.
Le Oasi di protezione dell’ATC1 sono 5 e si sviluppano su una superficie agro-silvo-pastorale complessiva di 721,5 ettari, pari al 3,1% del territorio a.s.p. totale.
O.LGE – Lanca Gerole
(Torricella del Pizzo, Motta Baluffi)
L’area dispone di un ricco sistema umido disegnato ad anello, costituito da un grande meandro fluviale dismesso, collocato in golena aperta e con ambienti molto diversificati. Sono rappresentati tutti gli ecosistemi più caratteristici delle aree golenali: si passa dagli specchi d’acqua libera, di diversa profondità, ad estese praterie di macrofite palustri (cannuccia di palude, ninfea bianca, giunco selvatico, carici), sino ad arrivare a lembi di bosco igrofilo e mesofilo (querceti e saliceti misti). A margine dell’area di interesse naturalistico si rinvengono pioppeti ed agroecosistemi con relitti ambienti di elevato indice di ecotono. Nella parte centrale di questo anello di rilevante valenza ecologico-ambientale, la campagna si presenta relativamente sterile, con appezzamenti di grandi estensioni coltivati a mais; in quest’area si colloca una ZRC che ha la funzione di completare la protezione in una parte particolarmente vulnerabile. L’area è di rilevante interesse faunistico in senso lato, ed in particolare relativamente all’avifauna; sono presenti come nidificanti specie rare e vulnerabili (tuffetto, cavaliere d’Italia) e durante il passo, oltre a forti contingenti di anatidi di superficie (germano reale, alzavola, marzaiola) vi si rinvengono specie infrequenti sul territorio provinciale (oche e anatre di profondità quali moretta, moretta grigia, moriglione) e specie inusuali o addirittura accidentali (cicogna nera, smerghi, strologa mezzana). Tra i rapaci si annoverano il gufo comune, il gheppio, l’allocco. Discreta è anche la presenza di fauna stanziale di interesse venatorio, quale lepre e fagiano, anche se i contingenti numerici sono influenzati dalle episodiche piene che invadono la golena.
O.LGU – Lancone di Gussola
(Gussola)
La zona umida è un tipico ambiente palustre padano ben conservato e riccamente vegetata a canneto, compenetrato da una fascia di tifeto e da tratti di cariceto; è delimitata da una stretta fascia alberata a saliceto ed inserita in un tratto di golena fluviale coltivata a pioppeto e cereali, con colture in rotazione e con scarsi residui di vegetazione arborea governata prevalentemente a filare. Sono presenti piccoli boschetti e filari con essenze arboree (pioppo, quercia, olmo, acero campestre, platano, salice bianco) e arbustive (biancospino, sanguinella, sambuco, pallon di maggio). Tra le colture arboree si segnalano piccoli appezzamenti a frutteto, vigneto, pioppeto e latifoglie. La zona è un importante sito riproduttivo per specie legate all’acqua, quali la folaga, il tuffetto, il tarabusino, il germano reale, l’airone rosso, la cannaiola, la cannaiola verdognola, il cannareccione, il pendolino, il migliarino di palude; la zona umida è inoltre un importante ambito di sosta e svernamento di specie migratrici, quali l’alzavola, la marzaiola, il porciglione. Da segnalare la presenza del tarabuso, specie piuttosto rara che sovente frequenta l’area. Altre specie rinvenute nell’area sono l’albanella minore, il falco di palude, lo sparviere, la poiana, il gheppio, la civetta, l’allocco, il picchio rosso maggiore, l’oca selvatica. Le aree agricole limitrofe, benché piuttosto degradate, non sono prive di fauna discretamente diversificata (lepre, fagiano, turdidi, columbidi, fringillidi e corvidi).
O.CGA – Cava Gabbiani
(Solarolo Rainerio)
L’area, ex polo estrattivo, è oggi costituita da pochi specchi d’acqua liberi da vegetazione, mentre vaste aree sono occupate da canneto; la prateria palustre e asciutta colonizza il restante territorio. Le siepi e le fasce alberate (salice bianco e cenerino, pioppo bianco e ibrido, quercia farnia, frangola, sanguinella, rosa canina) occupano una piccola percentuale della superficie totale e sono localizzati prevalentemente lungo le rive delle zone umide. La zona umida si colloca in un territorio altrimenti estremamente banalizzato e costituisce un valido ambiente di diversificazione del paesaggio ed aumento delle biocenosi; anche per questo, svolge una importante funzione per la sosta della fauna migratoria, soprattutto anatidi, rallidi (gallinella d’acqua, folaga, porciglione) e ardeidi (tarabusino, airone rosso, nitticora, garzetta). Il progressivo sviluppo del canneto a scapito dello specchio d’acqua libero ha migliorato la recettività per talune specie, quali il cannareccione e la cannaiola, ma ha ridotto la potenzialità dell’ambiente al richiamo di ricchi contingenti di migratori e alla nidificazione di anatidi; sono tuttavia ancora presenti discreti contingenti di germano reale ed alzavola. Tra i limicoli sono presenti beccaccini e pivieri. Lo sviluppo della fascia boscata e delle siepi ha reso l’ambiente adatto alla sosta e nidificazione di altri uccelli quali il basettino, il pigliamosche, il fringuello, il pendolino. Tra le specie stanziali di interesse venatorio abbondante è il fagiano.
O.CCA – Cava Canovetta
(Casteldidone, S. Giovanni in Croce, Martignana Po)
La zona è costituita da laghi di cava dismessi ed impaludati, alcuni dei quali invasi da macrofite palustri emerse (prevalentemente fragmineto e tifeto) ed altri con ampi specchi d’acqua libera o con vegetazione acquatica sommersa e rada vegetazione arborea ai margini. L’area emersa è quasi interamente occupata da saliceto. L’area è frequentata tutto l’anno da specie tipiche degli ambienti palustri e durante il passo da ricchi contingenti di migratori. Varie sono le specie di anatidi, rallidi e limicoli. Tra gli ardeidi nidificanti si annovera l’airone rosso. Anche i rapaci sono ben rappresentati, con il gheppio, l’albanella reale, l’allocco, il gufo comune, la civetta, il falco cuculo, il falco di palude. Segnalata la presenza dell’upupa.
O.LAM – Lamari
(Casalmaggiore)
La zona ha una modesta estensione (14,6 ha), caratterizzata tuttavia da una grande variabilità ambientale, in buona parte occupata da una zona umida (ex-cava) e da una ricca macchia boscata. L’Oasi ospita ampie colonie di anatidi soprattutto germano reale anche nidificante; sono presenti il cannareccione e il codibugnolo nidificanti; durante le migrazioni c’è una particolare concentrazione di lodolaio, falco pellegrino e rondini. Tra i mammiferi si segnalano l’arvicola terrestre e il riccio.
Le zone di ripopolamento e cattura sono definite nell’art. 10/8, lett. b) della legge 157/92 quali zone “destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l’immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio”. La l.r. 26/93 prevede che le zone destinate alla riproduzione di specie di fauna selvatica allo stato naturale servano anche per l’eventuale loro cattura a scopo di immissione in altre zone. L’istituto in oggetto assume una rilevante importanza nel contesto provinciale dove, per le specie di selvaggina stanziale (specialmente la lepre), è difficile attuare efficaci piani di prelievo.
Le zone di ripopolamento e cattura vengono individuate in generale nelle zone con agro-ecosistemi sufficientemente diversificati, a vantaggio di tutta la fauna selvatica, ma in particolare nelle nostre aree rispondono alla esigenza di produzione di lepre e fagiano.
I criteri guida per l’individuazione delle zone di ripopolamento e cattura, oltre a riguardare l’idoneità ambientale sotto il punto di vista della componente vegetale naturale, degli elementi di ecotono e delle colture agricole, valutano le reciproche connessioni attraverso corridoi ecologici protetti tali da consentire facili spostamenti della selvaggina e un buono scambio genetico tra le popolazioni. La selezione di aree in cui vi siano dotazioni ambienti tali da assicurare buone produttività di selvaggina, si accompagnano alla valutazione di altri elementi che tengono conto dei possibili danni che la fauna selvatica può arrecare alle colture agricole ad alto reddito.
Le buone pratiche di gestione faunistica delle ZRC consentono di realizzare le condizioni per cui le popolazioni faunistiche raggiungano le massime densità offerte dall’ambiente. Consistono principalmente nelle seguenti attività: censimenti ambientali e faunistici, sostentamento delle popolazioni soprattutto attraverso i miglioramenti degli habitat, catture e immissioni, tutela della fauna presente mediante contenimento delle specie opportuniste, il tabellamento e la vigilanza per la prevenzione e il controllo degli illeciti.
Le catture sono eseguite solo allorquando le popolazioni sono sviluppate a tal punto da non risentire dell’asportazione di un certo numero di animali. L’attività di cattura non deve inoltre interferire con la riproduzione, per cui è prevista all’inizio dell’inverno e va completata possibilmente entro il mese di dicembre per la lepre e il mese di febbraio per il fagiano.
Le zone di ripopolamento e cattura dell’ambito di caccia n. 1 si sviluppano su una superficie agro-silvo-pastorale complessiva di 8.532,7 ettari, pari al 36,9% del territorio a.s.p. totale.
Le zone di rifugio sono gestite in modo da garantire la protezione della specie favorendo il suo irradiamento naturale: queste zone hanno dimensioni minori rispetto alle zone di ripopolamento e cattura. Tendenzialmente hanno bassa densità viaria ed abitativa e, per favorire la colonizzazione naturale delle aree circostanti, possono presentare confini irregolari e permeabili, cioè non costituiti da canali o strade con traffico intenso. Sono mantenute per un periodo di tempo sufficiente (almeno 2-3 anni) perché si formino popolazioni ben sviluppate e si realizzi un adeguato ripopolamento spontaneo del territorio contiguo. Le zone di rifugio possono assolvere anche a funzioni prettamente venatorie nel caso in cui vengano impiegate strutture di ambientamento e allevamento della fauna selvatica per assicurare maggiori rendimenti delle immissioni eseguiti anche nei periodi a caccia aperta. Sono collocate in posizione satellitare rispetto alle ZRC in modo da sostenere e implementare l’azione di ripopolamento del territorio a caccia programmata.
Le zone di rifugio dell’ATC1 sono 9 e si sviluppano su una superficie agro-silvo-pastorale complessiva di 267,7 ettari, pari all’1,1% del territorio a.s.p. totale.